Qualcuno lì fuori ha mai pensato che come per magia magari un giorno l’internet potrebbe sparire? Ok capisco, per paradossale che sia sembra questa la fantascienza.
Allora facciamola meno tragica: e se un giorno il mondo virtuale si assentasse? Così, senza preavviso.
Voi ce l’avete il famoso piano b?
Perché se la corrente si assenta, per un po’, si accende subito una visione pseudo romantica fatta di candele e luci aranciate.
Ma se di colpo internet ci fa una leva? Via Whatsapp, via Facebook, via Instagram e Google e poi Gmail e Youtube, Spotify… e tutte le altre micro bolle di vita che ci rendono le giornate così brevi e frenetiche, ma quale visione si accende? Apocalittica?
Sì, decisamente. Almeno per me, che se potessi lo staccherei oggi, ora, in questo preciso istante. Per me che stasera, mentre camminavo per la provincia deserta e fresca, disseminata di escrementi canini e immondizia variegata, pensavo all’assurdità della mia impotenza in qualità di cittadina di poter rendere lo spazio verde sotto casa mia, verde. Ora è brullo, sporco, gli incivili lo usano come grosso bidone e i bimbi delle scuole ci giocano di fronte, recintati in uno spazio ancor più desolato.
Le panchine secolari e sbocconcellate in cemento io le immagino sostituite da eleganti panchine in Art Nouveau, un piccolo investimento per fare davvero qualcosa per la propria città. Mi domandavo perché le persone investono tanto tempo ed energie vane nel preoccuparsi di ciò che accade altrove lamentandosene e non alzando un dito se non per condividere i loro pensieri per cambiare il mondo quando forse, quello che ci renderebbe se non necessariamente migliori quantomeno felici, è proprio sul palmo di una mano (per dirla con Cesare).
Mi immaginavo l’erba verde e qualche aiuola, dei fiori, dei bidoni della spazzatura, due altalene e un po’ di rispetto per la ciurma di pensionati che da aprile staziona sfidandosi a interminabili tornei di bocce, garantendo l’ordine e la buona fama di un piccolo quartiere tranquillo ma decadente.
Quindi sì, io lo sgancerei internet dalla mia vita, con tutto quello che ne consegue.
Dovrei sentirmi ignorante per questo, non si va contro il progresso, è controproducente. Forse, ma fino a quando non diventa palpabile la perdita costante di rapporto umano. Quando internet non esisteva, gli acculturati esistevano comunque e probabilmente di una cultura più solida, meno spiccia.
Quando non c’era, leggevamo i titoli di coda e ci emozionavamo a riconoscere nomi dei registi, dei direttori della fotografia e persino dei truccatori e poi dei doppiatori. Amavamo diversamente le arti, avevamo dei confini. E l’essere umano non è adatto a vivere senza limiti, semmai è adatto a desiderare costantemente di superarli. Tolta questa voglia di lottare, sedata, lasciata abbuffare fino a non poterne più, cosa resta?
Sapere tutto è come non sapere nulla, avere in mano costantemente lo scibile umano, darlo per scontato, ci ha reso ignoranti e presuntuosi.
Un consumo cosciente delle risorse sembrerebbe una via percorribile ma io temo che questo non sia sufficiente. Suona come un’utopia eppure non credo sia così distante da un possibile scenario.
Il piano b, soprattutto sul fronte commerciale, bisognerebbe averlo. Anche solo per gioco, perché se davvero accadesse – anche per un breve lasso di tempo – vincerà chi ha saputo cavalcare i tempi facendo tesoro delle verità autentiche, quelle strane sensazioni che riaffiorano quando ci accostiamo ai nostri simili per condividere un’esperienza e lasciamo in tasca o sul comodino, per un momento, quella dannata zecca che se potesse parlare direbbe sul nostro conto più di quanto noi stessi pensiamo di sapere.